[ Pobierz całość w formacie PDF ]
.Fra elefanti, tigri, leoni, leopardi,pantere, orsi, lupi, coccodrilli, ippopotami, giraffe, linci eccetera nesfilarono diecimila, e molti erano caricaturalmente addobbati per parodiarepersonaggi della storia o della leggenda.Poi l'arena fu tirata giù e riemerseadattata al combattimento: leoni contro tigri, tigri contro orsi, leopardicontro lupi.Insomma, alla fine dello spettacolo, solo la metà di quellediecimila povere bestie era viva.L'altra metà era scomparsa nella loropancia.Poi di nuovo l'arena fu tirata giù e riemerse addobbata a plaza detoros.La corrida, già praticata dagli etruschi, era stata poi importata a Romada Cesare che l'aveva vista a Creta.Egli aveva un debole per queste feste, edera stato il primo a offrire ai suoi concittadini un combattimento di leoni.Quello col toro piacque enormemente ai romani che vi si appassionaronosubito e da allora in poi lo reclamarono sempre.I toreri non conoscevano ilmestiere ed erano quindi destinati alla morte.Infatti venivano scelti fra glischiavi e i condannati, come tutti gli altri gladiatori del resto.Molti di essinon combattevano nemmeno.Dovevano rappresentare qualche personaggiodella mitologia e subirne per davvero la tragica fine.Per ravvivare lapropaganda patriottica, uno veniva presentato come Muzio Scevola eobbligato a bruciarsi la mano sui carboni, un altro come Ercole cremato vivosulla pira, un altro come Orfeo sbranato mentre suonava la lira.Volevanoessere insomma degli spettacoli "edificanti" per la gioventù e come tali essinon erano affatto vietati ai minori dì sedici anni, anzi.Seguivano i combattimenti fra gladiatori, tutti condannati a pene capitaliper omicidio, rapina, sacrilegio o ammutinamento, ch'erano i delitti per iquali la morte veniva inflitta.Ma quando ce n'era carestia, compiacentitribunali condannavano a morte anche per altri motivi molto meno gravi:Roma e i suoi imperatori non potevano fare a meno di questa carne umanada macello.Tuttavia c'erano anche i volontari, e non tutti di bassaestrazione, che s'iscrivevano alle apposite scuole per poi combattere nel Cir-co.Erano forse le più serie e rigorose scuole di Roma.Vi sì entrava quasicome in seminario, dopo aver giurato dì essere pronti a farsi "frustare,bruciare e pugnalare".I gladiatori avevano, ad ogni combattimento, unaprobabilità su due di diventare eroi popolari, cui i poeti dedicavano i lorocarmi, gli scultori le loro statue, gli edili le loro strade e le signore le lorograzie.Prima della gara si offriva loro un pantagruelico banchetto.E, se nonvincevano, avevano l'obbligo di morire con irridente indifferenza.Si chia-mavano con vari nomi secondo le armi che usavano, e ogni spettacolocontava centinaia di questi duelli che potevano anche finire senza il morto seil soccombente, essendosi condotto con coraggio e bravura, veniva graziatodalla folla col gesto del pollice alzato.A uno spettacolo offerto da Augusto edurato otto giorni, diecimila gladiatori presero parte.Guardiani vestiti daCaronte e da Mercurio pungevano i caduti con forconi acuminati per vederese erano morti, i simulatori venivano decapitati, schiavi negri appilavano icadaveri e portavano nuova sabbia per i combattimenti successivi.Questo modo di divertirsi al sangue e alle torture non sollevava obiezioninemmeno fra i moralisti più severi.Giovenale, che criticava tutto, era untifoso del Circo e lo trovava del tutto legittimo.Tacito ebbe qualche dubbio;ma poi riflette che quello che si versava nell'arena era "sangue vile" e conquesto aggettivo lo giustificò.Perfino Plinio, il più civile e modernogentiluomo di allora, trovò che quei massacri avevano un valore educativoperché abituavano gli spettatori allo stoico disprezzo della vita (altrui).Nonparliamo di Stazio e Marziale, i due poeti lodatori di Domiziano, che nelCirco passavano la vita e vi attinsero le loro ispirazioni poetiche.Stazio eraun napoletano che si era fatto un bel nome con un brutto poema, LaTebaide, aveva recitato nei teatri, fu invitato a pranzo dall'imperatore e, perfarlo sapere a tutta Napoli, ci scrisse sopra un libro rappresentandoDomiziano come un dio e dedicandogli le sue Silvae, che sono le sole poesieleggibili di questo autore.Morì sui cinquant'anni, quando già la sua stellaera offuscata da Marziale che cercava le sue ispirazioni soprattutto nel Circoe nel bordello.Marziale era uno spagnolo di Bilbao che venne a Roma a ventiquattr'annie vi godè la protezione dei suoi compatrioti Seneca e Lucano.Perché glispagnoli allora si aiutavano, come fanno oggi i siciliani.Non fu un granpoeta.Ma anticipò Longanesi nella "battuta", che lasciava il segno come unmorso.«Le mie pagine sanno di uomini», diceva; ed è vero.I suoipersonaggi sono di basso rango perché li sceglieva in quegli ambientimalfamati delle prostitute e dei gladiatori; ma appunto per questo sono vivinella loro) volgarità e abiezione.Era lui stesso un tipo piuttosto ignobile.Piaggiò Domiziano, calunniò i suoi benefattori, visse nei bassifondimangiandosi i soldi in vino, dadi e scommesse alle corse.Ma non seppecosa volesse dire retorica, i suoi Epigrammi rimangono il più perfettomonumento del genere, e la testimonianza ch'egli ci ha lasciato di Roma èforse la più autentica.Finì per tornarsene a Bilbao, ch'era allora un paesello,dove visse, tanto per cambiare, alle spalle di un amico che gli regalò unavilla, e dove, di Roma, rimpianse una cosa sola: il Circo, non avendo piùl'età per rimpiangere anche l'altra: i bordelli.Soltanto Seneca ci ha lasciato una condanna dei giuochi gladiatori chedice di non aver mai frequentato
[ Pobierz całość w formacie PDF ]